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Circolare con i chiarimenti sullo svecchiamento del personale nelle pubbliche amministrazioni A riposo con 40 di contribuzione Per la risoluzione anticipata non conta il servizio prestato
Renato Brunetta
Torna il requisito contributivo di 40 anni per lo svecchiamento del personale pubblico. Ma restano efficaci i licenziamenti e i preavvisi ordinati in base al vecchio requisito dei 40 anni di servizio. A stabilirlo è la circolare n. 4 firmata ieri dal ministro per la pubblica amministrazione, Renato Brunetta, che illustra le nuove regole sulla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nelle p.a. Nuove regole che prevedono ora un intervento limitato nel tempo (dal 2009 al 2011) e l'applicazione ai dirigenti mentre esclude, oltre a magistrati e professori universitari, anche i dirigenti medici.
Una novità in tre step. I chiarimenti riguardano la risoluzione unilaterale del contratto di lavoro dei dipendenti pubblici. Una novità introdotta dal dl n. 112/2008 e successivamente modificata in due occasioni, l'ultima con la legge n. 102/2009. In un primo momento (dal 25 giugno 2008 al 19 marzo 2009), la disciplina prevedeva che la pa potesse unilateralmente mettere a riposo dipendenti (cioè licenziarli) una volta raggiunti i 40 anni di anzianità contributiva. Poi è intervenuta la legge n. 15/2009 (dal 20 marzo al 4 agosto 2009) che ha sostituito il requisito contributivo con quello di anzianità di servizio e la risoluzione unilaterale poteva avvenire quando il dipendente raggiungeva i 40 anni di effettivo lavoro. Infine la legge n. 15/2009 ha ristabilito il vecchio requisito di contribuzione: dal 5 agosto, dunque, opera nuovamente la vecchia regola per cui una pa può mettere a riposo il dipendente che raggiunge 40 anni di contribuzione a prescindere dal numero di anni di servizio svolto (per esempio, nel requisito si calcolano i contributi figurativi per riscatto della laurea che non hanno riscontro con un'effettiva attività di servizio).
I lavoratori interessati. Oltre il ritorno al requisito contributivo, la legge n. 102/2009 ha modificato la disciplina anche con riferimento ai lavoratori interessati e al momento in cui la facoltà può essere esercitata, e ne ha limitato l'operatività a un triennio (2009/2011). Relativamente ai lavoratori interessati, la nuova disciplina esclude i dirigenti medici responsabili di struttura complessa (che si aggiungono ai magistrati e professori universitari, e specifica che si applica anche nei confronti del personale dirigenziale.
Il momento di licenziamento. In base alle nuove regole la facoltà di risoluzione può essere esercitata «a decorrere dal compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni». Secondo la circolare, questo vuol significare che il compimento dei 40 anni di anzianità contributiva rappresenta il momento iniziale a partire dal quale la risoluzione può intervenire. In altre parole, la sua efficacia può decorrere dal giorno seguente a quello del compimento dei 40 anni di contributi, fermo restando che la pa deve aver comunicato per tempo, e cioè sei mesi prima, il preavviso al dipendente interessato.
Solo per tre anni. La facoltà di risoluzione unilaterale opera limitatamente al triennio 2009/2011. Ciò significa, spiega la circolare, che la facoltà può essere esercitata sino al 31 dicembre 2011 e nei confronti di quei dipendenti che abbiano maturato il requisito (40 anni di contributi) entro tale data.
Diritto intertemporale. Il susseguirsi delle diverse discipline, specie con riferimento al requisito per la risoluzione (prima 40 anni di contributi, poi di servizio e ora nuovamente di contributi) non dà vita a conseguenze sul piano operativo. Spiega la circolare, infatti, che la legge n. 102/2009 ha confermato l'efficacia degli atti (tutti gli atti) compiuti in base alle vecchie norme. Tradotto in pratica, ciò significa che devono considerarsi valide ed efficaci sia le risoluzioni già intervenute e sia i preavvisi rilasciati in base alle vecchie disposizioni, anche nel caso in cui il termine finale dei 6 mesi sia caduto o venga a cadere dopo il 5 agosto (entrata in vigore della nuova disciplina). Ovviamente, questo resta valido soltanto nelle ipotesi in cui la p.a. non abbia nel frattempo revocato il preavviso o abbia mantenuto in servizio il dipendente dopo la scadenza del preavviso (comportamento che equivale a revoca implicita del preavviso).
Fonte: Italia Oggi (17 settembre 2009)
--------------------------------------------------------------------------------------------------- Complice la riforma Brunetta, il ministro dell'interno si appresta a rinnovare gli organici Maroni dà una svecchiata ai prefetti Nessuna proroga ai sessantenni, turnover sul 20% dei posti
Roberto Maroni
L'ultima speranza era legata alla circolare del ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta. Ma anche questa-che mercoledì scorso ha chiarito una volta per tutte come opera la riforma del pensionamento coatto allo scattare dei 40 anni di anzianità contributiva dei dipendenti statali- è andata buca. E ora i prefetti ultrasessantenni devono rassegnarsi ad andare in pensione da qui ai prossimi mesi. Il ministro dell'interno, Roberto Maroni, infatti è deciso a utilizzare tutti gli spazi che la legge gli apre per svecchiare le piante organiche. Operazione che consente di promuovere i più giovani viceprefetti ma anche di rimescolare gli incarichi, facendo un po' di spoils system. I numeri dei pensionandi del resto sono consistenti: secondo i rumors del Viminale, tra sopraggiunti limiti d'età e applicazione delle nuove norme brunettiane, ad andare in pensione saranno almeno in quaranta, pari a circa il 20% degli organici. Mai così tanti, dicono a Palazzo, in una volta sola.
Tra quanti si apprestano a lasciare, figurano nomi di primo piano della carriera prefettizia. È il caso di Paolo Calvo, vicecapo della polizia, Giosuè Marino, commissario Antiracket, Carlo De Stefano, direttore dell'ufficio centrale di prevenzione di Ps, Luciano Rosini, direttore delle cosiddette specialità di polizia, come la stradale e la postale. E poi ci sono i prefetti di città come Genova, dove lascia AnnaMaria Cancellieri, e Vicenza, che dice addio a Piero Mattei.
L'operazione svecchiamento andrà avanti a ritmi forzati fino al 2011, quando scadrà la norma dei 40 anni di anzianità contributiva. La riforma introdotta dalla legge 15/2009, così come spiega l'ultima circolare di Brunetta (si veda IO di ieri), prevede infatti che per un triennio si possa avere il pensionamento con il requisito dei soli 40 anni di contributi e non più di servizio effettivo. In questo modo la prosecuzione lavorativa è preclusa a quanti hanno riscattato la laurea oppure il servizio militare, periodi non di lavoro ma comunque utili ai fini contributivi. Dunque, pensionistici. Dalla mannaia dell'anzianità contributiva sono stati esclusi i magistrati, i professori universitari e i responsabili di strutture sanitarie complesse. In via interpretativa, Brunetta ha aperto spiragli perché possa non essere applicata anche ai medici, per i quali si è a lungo battuto il ministro del lavoro e della salute, Maurizio Sacconi. Niente invece per i prefetti, che restano nel calderone di tutti gli altri travet.
A pesare sul futuro di chi è a fine carriera c'è anche l'altra novità (prevista dal decreto legge 112/2008) sulla proroga del contratto per un biennio oltre i 65 anni di età. Proroga che prima era un diritto soggettivo, ampiamente esercitato dai prefetti, e ora invece una semplice facoltà, a domanda dell'interessato, dell'amministrazione. Facoltà che Maroni ha subito messo a frutto, negando ogni prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i 65 anni.
Fonte: Italia Oggi (18 settembre 2009)
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